ESCLUSIVA SI Gambia, l’ex preparatore: “Nazionale in crescita. Occhio al 2004 Minteh…”

Dopo oltre 4 anni l'avventura di Daniele Caleca con la Nazionale del Gambia si è interrotta bruscamente, proprio a ridosso della seconda Coppa d'Africa della sua storia. L'ormai ex preparatore atletico degli Scorpioni ha dovuto abbandonare il suo ruolo a causa di alcuni attriti con la Federazione nelle ultime settimane che hanno costretto Caleca a rinunciare a malincuore alla kermesse continentale che inizierà il 13 gennaio. 

L’ultima esperienza in Coppa d’Africa finì ai quarti, dopo un cammino scintillante e dopo che tu stesso avessi anticipato il ruolo di possibile mina vagante del Gambia. Dove può arrivare quest’anno?

"Bisogna per forza essere ottimisti perché quest'anno rispetto a due anni fa secondo le previsioni è molto più dura. In primis perché il girone in cui siamo è veramente tosto forse il girone più difficile, perché il Gambia è stato sorteggiato con Senegal, Camerun e Guinea; Due anni fa avevamo un forte Mali, una altrettanto forte Tunisia – ma comunque non al livello né di Camerun né di Senegal – e poi c'era una una modesta Mauritania. Quindi sai, dato che ne passavano due, non sembrava di per sé insormontabile, benché fossimo debuttanti. Adesso a guardare il girone è veramente tosta. C’è poi un altro aspetto che è cambiato negli ultimi anni grazie alla guida di Tom Saintfiet, l'allenatore con cui ho collaborato per anni fino a poche settimane fa. Il Gambia è cresciuto tantissimo, sotto tanti punti di vista; è una Nazionale ricca di giovani forti, diventati tali anche grazie alla mano del selezionatore. Insomma, due anni fa eravamo una mina vagante perché quasi nessuno conosceva il Gambia e quindi, sai, sorprendere era più facile. Oggi è diverso, perché siamo affermati come Nazionale e anche le grandi d’Africa ci conoscono. Una sorta di arma a doppio taglio anche per noi: gli avversari tira ti studiano, ti conoscono bene. Il Gambia di per sé fa un gioco di ripartenza basandosi quindi su tanti giocatori veloci. Tom Saintfie non è uno che ama fare tiki taka, ma lui lo dice esplicitamente, è molto pragmatico, guarda al risultato. La partita può finire 1-0, facendo anche solo il 10% del possesso palla. Non gli importa molto del “bel gioco”. Porta sempre questi numeri per far passare il concetto, dice sempre cose come: “possiamo fare anche l'8% del possesso palla ma se poi vinco mi importa poco se non ci siamo divertiti durante la partita, se il pubblico non si è divertito”. Si auto-definisce un ‘catenacciaro’, parla un pochino di italiano e spesso ci scherziamo su. È chiaro che quando sale il livello diventa complicato; quest'anno, ripeto, sarà tosta. Ma il Gambia se la giocherà, gli ultimi due anni sono stati molto positivi. A parte le ultime due partite a novembre di qualificazione ai Mondiali che non sono andate benissimo (contro il Burundi e contro la Costa d'Avorio), per il resto arrivavamo da un buon momento". 

Il girone con Senegal, Camerun e Guinea impone uno sforzo non indifferente per centrare la qualificazione. Che clima si respirava tra staff e giocatori al momento del sorteggio?

"Un po’ di timore c’era e c'è, è inevitabile. Ma ti aiuta anche a rimanere con i piedi per terra, ti dà consapevolezza. Incontriamo i campioni in carica, che comunque sono considerati “cugini” da queste parti, c’è un ottimo rapporto tra i due paesi e le rispettive Nazionali. Incontreremo il Camerun che avevamo già incontrato ai quarti di finale due anni fa e che ci fece una grandissima impressione perché è veramente forte. Poi la Guinea che avevamo battuto agli ottavi di finale nell'ultima Coppa d'Africa. Però sulla base dei nomi che adesso ci sono in rosa secondo me è superiore rispetto a quello dei due anni fa… Uno su tutti, quello di Guirassy che sta facendo benissimo in Germania. Ma come lui ce ne sono molti altri. Quindi l'aria che abbiamo respirato negli ultimi mesi del 2023 è comunque colma di ottimismo perché i ragazzi sono consapevoli della loro forza e della loro crescita, soprattutto in questi due anni. Sanno che l’impegno è molto duro duro, ma sono pronti per giocare".

C’è qualche giovane talento che vedi pronto al grande salto, come Fadera, Gomez e Ebrima Colley?  

"Questi che hai elencato sono dei giocatori già affermati in nazionale: James Gomez è una pedina importante dello Sparta Praga, ad esempio. Fadera ha già fatto un salto importante quest'anno, passando dallo Zulte Waregem al Genk. Colley sta facendo benissimo negli ultimi due-tre anni, seppur in prestito sempre dall’Atalanta. L’anno scorso ha giocato in Turchia con Pirlo e quest'anno è un giocatore cruciale degli Young Boys, con cui ha segnato anche in Champions League. Un altro nome interessante che mi sento di fare, che è il più giovane da quelli che abbiamo in rosa (classe 2004, nda), è Yankuba Minteh, attaccante che gioca al Feyenoord ma di proprietà del Newcastle. In Gambia lo chiamano “Messi” (ride, nda) perché è il classico attaccante esterno contemporaneo, rapido, veloce, che salta l’uomo. Spero per lui che continui su questa strada perché nell'ultimo anno è cresciuto tantissimo: ha la stoffa di un potenziale fuoriclasse". 

Cosa cambia da una preparazione fisica con un club rispetto a una Nazionale?

"Cambia veramente tutto. Nel club hai una rosa che puoi migliorare nel corso della stagione, hai una tua metodologia, che porti avanti. Con la Nazionale l’obiettivo non è quello di migliorare il giocatore nello specifico ma di sbagliare il meno possibile per far sì che nessuno si faccia male. E già questo non è semplice. Io propongo il mio metodo di lavoro durante le sessioni che facciamo durante l’anno, poi la decisione è sempre dell'allenatore che è responsabile. Con Saintfiet ad esempio meglio fare qualcosina in meno rispetto che qualcosaina in più, perché c’è sempre il rischio che qualcuno si faccia male. E quindi spesso la tendenza è quella di preservare il calciatore, fargli fare delle cose semplici anche perché, come dicevo, la possibilità di migliorare i calciatori non c’è in un lasso di tempo così breve. In 10-15 giorni il calciatore deve stare bene, mangiare bene, dormire bene… Bisogna creare intorno a lui l’ambiente giusto e mantenere quello che lui sta facendo con il club di appartenza. Qualche sessione in palestra che lui già conosce, lavoro in campo legato soprattutto alla tattica, nulla di fisico insomma. Poi la preparazione alla Coppa d'Africa cambia un po', perché stiamo tanto tempo assieme rispetto alla classica finestra FIFA. I ragazzi sono partiti a cavallo di capodanno verso Riyad, poi a Rabat e infine in Costa d’Avorio. In questi 15 giorni abbondanti di lavoro chiaramente qualcosa si può fare, evitando soltanto che qualcuno si faccia male altrimenti si rischia di arrivare in Coppa d'Africa con con un livello di fitness basso. Nella preparazione alla Coppa si va a programmare un lavoro anche sulla base di quello che hanno fatto loro nei club, prendi un po' di informazioni e cerchi di fare un lavoro non a grandissima intensità".

C’è un filo diretto con i club riguardo alla condizione dei giocatori e al loro grado di preparazione prima della preparazione in Coppa d’Africa?

"Guarda non c'è un filo diretto continuo, anche perché nelle piccole finestre di 7-8 giorni non mi interessa più di tanto andare a lavorare a livello fisico. Poi noi abbiamo già uno standard di lavoro con l'allenatore che seguiamo e da lì non ci discostiamo più di tanto. Io magari mi sento con qualche preparatore per alcune informazioni e viceversa. Spesso chiedo per capire che tipo di lavoro è stato fatto per evitare di sbagliare il meno possibile perché i carichi di lavoro da club a nazionale, da preparatore a preparatore cambiano. E non ci si può prendere il rischio di non fornire i giusti carichi di lavoro creando problemi ai calciatori, alla Nazionale e chiaramente al club di appartenenza". 

Come incide la preparazione atletica della gara in una competizione in cui si gioca molto in pochissimi giorni? È una preparazione più improntata al recupero rispetto che al potenziamento?

"Tra una tra una partita all'altra e l'obiettivo è quello fare recuperare il calciatore il meglio possibile. Il lavoro più grosso lo fai fino a questi giorni qui, 10-11 gennaio. Poi a 2-3 giorni dalla partita inizia la preparazione della stessa soprattutto a livello tattico e i giorni a seguire, considerando che si giocherà 15, 19 e 23, cioè praticamente ogni tre giorni, si fa un lavoro improntato al recupero. La prima sessione dopo la partita è defaticante per chi ha giocato, mentre quelli che non sono entrati in campo fanno qualcosina in più per mantenere un buon livello di fitness. Dopodiché c’è una sessione soltanto prima dell’altra partita incentrata quasi solamente sull’aspetto tattico. Considera che i giocatori che hanno giocato staranno ancora in parte in fase di recupero quindi non puoi andare a fare un granché dal punto di vista fisico. E il giorno dopo è già quello dedicato alla rifinitura. Quindi il “lavoro grosso” lo si fa in questa finestra. Anche se poi ci sono decine di altri aspetti da considerare, come i voli da una città all’altra: i viaggi lunghi tolgono energie nervose e fisiche, perciò non puoi stressare subito il giocatore con un allenamento forte. Questo significa quindi perdere dei giorni importanti di lavoro in questa fase". 

Quanto incidono le differenze climatiche e culturali sul tuo lavoro?

"Non tantissimo in termini generali, poi chiaramente il clima fan la sua parte, ma non sulla programmazione. Nel senso che se noi abbiamo programmato un lavoro e sappiamo già che tipo di lavoro andremo a fare sulla base di quello che troviamo. Se il clima diventa complicato da gestire, la sessione anziché farla durare un'ora e dieci lo facciamo durare un'ora, la facciamo durare 55 minuti, basandosi anche sulle sensazioni che si ha in campo. Cambia la strategia di integrazione, di alimentazione, di idratazione. Però in linea di massima non cambia molto l'impostazione del lavoro". 

Colley, Barrow e Ceesay hanno giocato in Italia: vedi grandi differenze dal punto di vista atletico e tecnico rispetto a chi in rosa ha avuto esperienze minori?

"Non c’è una grande spaccatura, ma è chiaro che chi ha giocato in Francia, in Italia, in Belgio in Inghilterra, è più pronto per giocare partite di alto livello, questo è innegabile. Però ti posso dire, soprattutto a livello atletico, sono già tutti performanti, in qualsiasi campionato giocano: in Svezia, in Norvegia, in Danimarca… fisicamente indiscutibili, sono tutti allo stesso livello. A livello tecnico chiaramente ci sono delle differenze importanti: giocare al Besiktas o al Bologna non è come giocare in una seconda divisione in Svezia". 

Dopo oltre 4 anni con il Gambia ti sentiresti pronto in caso per un’eventuale chiamata da un altro club Italiano o europeo? 

"Il mio obiettivo è quello di andare in Serie A, è il sogno di tutti. Chi fa questo lavoro deve avere ambizione e puntare al massimo possibile. Non posso dire di volermi accontentare di andare in Serie B o in Serie C, per quanto importanti siano. Non mi dispiacerebbe neanche andare in una Nazionale più grande (senza nulla togliere al Gambia, che è già una Nazionale importante). Però sai, l’idea di lavorare per Nigeria, Senegal o Camerun è intrigante. Chissà che continuando a fare bene qualcosa non cambi in questo senso. Comunque sì, io punto ad emergere, ad arrivare più in alto possibile nonostante abbia alle spalle già qualche esperienza ci sia tra B e C, all'estero con altre nazionali, altri club…"

Meglio il contatto quotidiano con i club o quello un po’ più marginale come con le Nazionali, seppur di altissimo profilo?

"Domanda difficile, ma ti direi che sceglierei il club. Il lavoro quotidiano con i giocatori è qualcosa di fantastico. Con le Nazionali è bello, ma è diverso. Vedi il campo molto meno, non puoi “costruire” la performance del tuo giocatore. Non sono uno che ha paura di prendersi responsabilità anche grosse. Fare il preparatore atletico principale di un club di alto profilo non mi metterebbe certo in apprensione. Avere la responsabilità di provare a migliorare le performances dei giocatori è un incarico delicato quanto affascinante. Lavorare col club è impegnativo, ma è la circostanza che preferisco".

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