Il segreto di chiamarsi Dakar

03.01.2023 00:00 di Redazione Sportitalia   vedi letture
Fonte: Filippo Gherardi
Il segreto di chiamarsi Dakar

La prima alba del nuovo anno per il mondo dei motori sorge (ancora una volta) tra le dune della Dakar. Edizione numero quarantacinque in assoluto, quella di scena dal primo al quindici di gennaio in Arabia Saudita, del rally raid più famoso di sempre con 8.549 kilometri di cui “solo” 4.700 cronometrati, articolati su quindici giorni complessivi, con una sola sosta il 9 gennaio e senza considerare il prologo-passerella svoltosi il 31 dicembre. Al via centoventicinque moto, settantatré vetture, cinquantasei camion, diciannove quad ed altri quarantasette veicoli leggeri tra prototipi e mezzi di serie, la carovana più adrenalinica del mondo ancora una volta vivrà il fascino incontaminato di un’avventura che nell’ideale collettivo è l’equilibrio provocatorio tra velocità, fascino e rischi. Perché la Dakar è innanzitutto gara ad eliminazione dove ogni singolo traguardo rappresenta un’impresa, una conquista con sé stessi prima ancora che contro gli avversari più diretti. Nel dettaglio, la quarta Dakar di scena totalmente in terra saudita sulle cinque previste da un milionario accordo economico (i cui termini potrebbero essere prolungati per altri quattro anni aggiuntivi, ndr) è un viaggio disorientante e imprevedibile, con partenza dal bivacco-resort allestito sul Mar Rosso e traguardo finale collocato lungo le rive del Golfo Persico.

Un’odissea senza punti cardinali, che vivrà il suo apice emozionale nella seconda parte del programma quando i protagonisti dell’edizione 2023 attraverseranno l’“Empty Quarter”, lo sconfinato deserto del Rubʿ al-Khālī, semplicemente la porzione di sabbia più grande al mondo. Dakar quindi miscela di sensazioni, ma anche accademia tecnologica dell’automobilismo, in un percorso verso la definitiva transizione elettrica sempre più incalzante anche in queste latitudini. Il progetto copertina è naturalmente quello di Audi, in gara con le avveniristiche ed elettrificate RS Q e-tron E2, arricchite nella loro capacità di catturare riflettori ed attenzioni dalla presenza al volante di due fenomeni senza età come Carlos Sainz e Stephan Peterhansel, protagonisti e favoriti per forza di logica, oltre che per le undici Dakar conquistate, in due, nella categoria delle auto (Peterhansel ne ha vinte 6 anche tra le moto ndr). Dietro di loro ma non per questo secondariamente eleggibili al gradino più alto del podio la Toyota del principe Nasser Al-Attiyah, quattro Dakar in bacheca di cui l’ultima lo scorso anno, e la BRX del “cannibale” Sebastien Loeb, il rallista più forte e vincente di sempre affamato dall’idea di piazzare il suo primo sigillo nell’albo d’oro di una competizione diventata negli anni tappeto rosso verso l’immortalità.

Ci saranno loro e ci saranno i centauri delle due ruote, una schiera di funamboli pronti ad approfittare del ritiro prematuro del campione in carica Sam Sunderland. Da Brabec a Benavides, passando per Walkner, Sanders, Price e il giovane talento Klein, tutti a caccia della sopravvivenza sportiva verso l’orizzonte finale. Dal 2007 l’Africa che fu origine e ispirazione della gara è drasticamente sparita, fatta eccezione per il nome diventato brand commerciale dai contorni planetari, tuttavia la Dakar resta qualcosa da raccontare, vivere e in alcuni casi anche sognare. La gara leggendaria che trasforma la paura in stimolo. Il vero segreto di chiamarsi Dakar.