Hamilton (ancora) iridato: è davvero possibile?

Non credo affatto che chi vi parla sia l’unico ad aver colto qualcosa di autenticamente personale nell’intervista che Lewis Hamilton, lo scorso 23 dicembre, ha rilasciato al quotidiano tedesco Bild. Poche, vere, considerazioni che in questi giorni di calma natalizia stanno (ovviamente) dominando la scena comunicativa della Formula 1 e più in generale dell’universo motor sportivo. "Penso che fermarsi da campione del Mondo sia il sogno di ogni atleta e io non faccio eccezione", questo il passaggio saliente e che in poche parole racchiude un ventaglio di valutazioni tutt’altro che trascurabili. Innanzitutto, dopo questa intervista e come mai prima d’ora la Formula 1 inizia veramente ad immaginare un futuro senza Lewis, e sarebbe errore grave, da parte di tutti, non valutarlo come un passaggio dai contorni epocali per l’intero movimento. Perché nei suoi sedici anni vissuti da protagonista costante, assoluto e vincente Hamilton non è stato soltanto una meravigliosa, ed inarrivabile, statistica fatta pilota, bensì un fenomeno socioculturale difficilmente equiparabile nella storia di chi l’ha preceduto e nel futuro di chi gli succederà. Il secondo aspetto, lasciato in eredità sempre dall’intervista concessa al quotidiano tedesco, è quello legato alla possibilità di rivedere Lewis sul tetto del mondo da qui ai titoli di coda, definitivi, della sua carriera. Nel valutare questa ipotesi è doveroso partire da due elementi. Il primo, per logica anagrafica e volontà manifestata, è che Hamilton finirà la sua carriera in Mercedes, sotto la gestione di quel Toto Wolff che proprio in queste ore l’ha definito “un riferimento” per il presente e il futuro della scuderia di Brackley.
Ed allora, per come è andato il 2022 e per il gap accusato dalla Stella d’argento per almeno metà del campionato trascorso, giusto chiedersi quale sarà il rendimento del mezzo che Lewis avrà a disposizione nei suoi prossimi, ed ultimi, anni. Il secondo elemento è chiaramente legato all’aspetto anagrafico. Il prossimo 7 gennaio l’ormai ex ragazzo di Stevenage compirà 38 anni, e dal 1990 in poi, in quella che vale la pena apostrofare come l’era moderna della Formula 1, soltanto cinque piloti sono riusciti a vincere un Gran Premio con 38 candeline all’attivo (Piquet, Patrese, Prost, Mansell e Raikkonen), e tra loro soltanto due (Mansell nel ’92 e Prost nel ’93) superata quell’età sono stati capaci a mettere in bacheca un titolo iridato. Questo per dire che nell’ultimo quarto di secolo abbondante la Formula 1 è cambiata, nei regolamenti, nelle auto ma anche nello stress fisico a cui i piloti vengono esposti, ed è complesso immaginare Hamilton come un’eccezione a tutto ciò. A tutto questo si aggiunga che per la prima volta nei suoi quasi undici anni in Mercedes il numero 44 non inizierà la stagione con i gradi di prima guida assoluta, considerando che nell’ultimo campionato l’unica vittoria è arrivata con George Russell (di 13 anni più giovane, ndr) capace anche di chiudere con due posizioni e trentacinque punti di vantaggi, nella classifica finale, rispetto proprio a re Lewis. In tanti ci hanno provato senza riuscirci, da Michael Schumacher a Valentino Rossi: concedersi un ultimo giro d’onore sul tetto del Mondo, prima di appendere il proprio casco al chiodo dell’immortalità. Ci proverà anche Hamilton, lo ha detto lui per primo e lo deve alla sua storia. Ma questo non lo renderà più facile.