Rabiot, benedetto (o maledetto?) quel no. Gravina è ancora lì. Mou, mai senza Joya

La vita è bella o brutta, dipende dai punti di vista. La vita del calcio è piena di contraddizioni, spesso di programmazione inesistente. Adrien Rabiot e il riepilogo di quanto accaduto la scorso agosto, eravamo entrati nelle ultime due settimane di mercato. Il Manchester United mette sul tavolo 18 milioni per assicurarsi il cartellino a 10 mesi dalla scadenza, una cifra comunque importante pur di regalare un centrocampista di spessore a ten Hag. La Juve, attenzione al dettaglio, dice subito sì e non ci pensa un minuto: la paura di perderlo a zero porta a smontare qualsiasi logica, di solito a fine agosto chi c’è c’è e chi non c’è resti a casa. La Juve invece aveva deciso di liberarsi del suo Rabiot, salvo poi scoprire che non aveva fatto i conti con la volontà del diretto interessato. Adrien al Manchester United ci sarebbe andato alle sue condizioni, oltre 10 milioni di ingaggio a stagione, ricchi premi e cotillon, la solita corsa al rialzo di mamma Veronique, molto attenta alla cassaforte di famiglia. Il Manchester United decide di tirarsi fuori in pochissimo tempo, fa rotta su Casemiro e chiude rapidamente l’operazione, la Juve resta con il cerino in mano da un lato e con un patrimonio tecnico dall’altro. La classica coperta corta: tiri di qua ma ti scopri di là, mantieni un centrocampista importante e contemporaneamente perdi l’occasione di fare plusvalenza. Già, perché Rabiot era arrivato a parametro zero dal Paris Saint-Germain e rischia di andarsene a parametro zero. Trattenerlo è stato bello per Allegri, visto che stiamo parlando della migliore stagione per distacco del francese con la Juve, ma l’idea era stata quella di privarsene a prescindere dalle valutazioni tecniche e soltanto per tutelare il bilancio.

Quindi, dovremmo dire così: benedetto quel no al Manchester United perché ha aiutato Allegri a ottenere da Rabiot un rendimento da “sette più”. E pazienza se da benedetto quel no diventerà maledetto perché la Juve rischia di perderlo a parametro zero. La tariffa sarà di almeno 10 milioni a stagione, com’è anche giusto che sia. A maggior ragione se pensiamo che Pogba, sempre a parametro zero, dalla Juve ne ha presi 8 più 2, quindi più o meno siamo lì. Stiamo ancora aspettando che il Polpo giochi una partita da titolare, tra un infortunio e l’altro, dopo una gestione assurda. La stessa gestione che ha visto la Juve accettare – storia della scorsa estate – la decisione del Polpo di non operarsi in nome di una terapia conservativa per provare a salvare il Mondiale. Come se Pogba fosse l’azienda e la Juve il dipendente, un errore gravissimo del club quello di non decidere con l’autorevolezza che serve in questi casi. Abbiamo dovuto sorbirci anche le parole della Pimenta che magari avrebbe voluto le scuse. Di chi, non si capisce. Al massimo le scuse sue alla Juve, per aver portato un centrocampista oggi “surreale”.

Ci sono cose tutte italiane che dovrebbero farci vergognare almeno un po’. Cinque minuti dopo la seconda (e umiliante) eliminazione dalla fase finale di un Mondiale, otto anni di fila per un’onta, il signor Gabriele Gravina aveva parlato di riforme imminenti, l’unica strada per poter rialzarci. Le solite belle parole non suffragate dai fatti. In un Paese normale Gravina sarebbe a casa da un pezzo, invece dentro l’onta lo hanno anche premiato, classico esempio di un’Italia sempre più a pezzi. Al signor Ministro, al secolo Andrea Abodi, avevamo chiesto interventi incisivi, in fondo lui questo mondo lo conosce contrariamente al suo predecessore. Invece, per il momento nulla di nulla, al massimo qualche intervento sulla vicenda Juve, spesso per ripetere lo stesso concetto. Vediamo se cambierà qualcosa in Serie C, ma la domanda è: se Gravina si riascoltasse, dopo tutte le promesse fatte e non mantenute, sarebbe il primo a non confermarsi.

Abbiamo difeso Mourinho per la vicenda Serra, un’ingiustizia. Siamo l’unico Paese al mondo in cui la squalifica viene sospesa, poi deferiscono Serra e confermano le due giornate a José, una barzelletta. Ma non possiamo difendere Mourinho per la formazione schierata contro il Sassuolo, scelta incomprensibile. Il vituperato e riabilitato Kumbulla non è Mancini, il suo raptus non ha un senso, ammesso che i raptus possano avere un senso. La Roma era stata presa a schiaffi dal Sassuolo, lui ha deciso di chiudere la partita in anticipo, vanificando in qualche modo il tentativo dei compagni di restare aggrappati. In quella formazione non c’era Dybala dall’inizio, un errore clamoroso considerato quanto Paulo sia fondamentale. Sarebbe stato saggio e giusto schierarlo per un’ora e poi farlo rifiatare, magari con una partita indirizzata. Con Dybala in campo cambia il mondo di El Shaarawy e Abraham, aumentano gli spazi e anche la possibilità di colpire. Senza Dybala, il panorama è grigio: da sereno il cielo diventa nuvoloso con la possibilità di allarmanti rovesci. Errore grave, da tripla matita rossa. Mai senza Joya, è una parola d’ordine per la Roma.

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